Un confronto tra spiritualità e religione

 

Credo che queste due parole spesso vengano utilizzate intendendo la stessa cosa. Entrambe portano con sè concetti profondi: l’esistenza di qualcos’altro di non visibile al di là del mondo fisico; l’esistenza di un qualche tipo di vita dopo la morte fisica e quindi l’esistenza di una parte di noi considerata immortale, l’anima; spesso il concetto di Dio come entità creatrice.

Volendo approfondire, possiamo però rilevare una fondamentale differenza tra i due concetti di religione e spiritualità. La prima, la religione, è un insieme organizzato di punti di vista su tutto ciò che trascende il mondo fisico, quindi su Dio, sul viaggio dell’anima, su entità come gli angeli. Ogni religione fornisce una sua visione su “chi o cosa” sia Dio, e su cosa avvenga al termine della vita fisica. D’altro canto, la religione organizzata consiglia, e in alcuni casi “detta”, tutta una serie di regole, comportamenti, rituali, abitudini, che nel mondo fisico servono per raggiungere una migliore, se non ideale, condizione dopo la vita fisica, nel proseguo del viaggio dell’anima.

La spiritualità è qualcosa di più intimo, più interiore, più personale. E’ ciò che la persona sente “davvero” dentro di sè su tutte le tematiche accennate sopra. E’ la sintesi interiore di ciò che sentiamo come verità, che derivi da teorie psicologiche, scientifiche, o da punti di vista delle religioni. La spiritualità è anche “esperienza”. Esperienza interiore. Relazione tra il nostro sentire interiore e ciò che poi ci accade e si manifesta nella nostra vita.

Naturalmente ogni religione, inizialmente, nasce come “punto di vista spirituale”. Uno o più esseri umani che hanno raggiunto un elevato livello di comprensione riguardo “chi sono”, un contatto profondo con la propria coscienza, insomma in generale uno stato trascendentale, hanno sentito e fatto esperienza interiore di alcune verità sulla natura dell’universo, dell’anima, delle dimensioni possibili della coscienza: quindi in primo luogo verità anche su sè stessi e sulla loro più autentica natura.

Mi riferisco un pò a tutte quelle figure dell’antichità, più o meno famose, che raggiunsero un certo livello diremmo di “illuminazione”. Il Cristo, Buddha, ma anche i vari maestri yogi del passato meno conosciuti perchè rimasti anonimi o il cui nome è andato perduto col trascorrere dei millenni; così come gli sciamani di tante popolazioni indigene del pianeta, e i Santi delle varie religioni, riconosciuti ufficialmente o meno.

Tutti questi mistici hanno anche insegnato ciò che avevano compreso riguardo la natura dell’uomo e del multiverso. Non ho dubbi che abbiano anche dato dei suggerimenti su quali comportamenti, atteggiamenti, abitudini fosse più opportuno adottare per raggiungere uno stato di trascendenza e di comprensione profonda simile al loro.

Credo che in questo punto, o meglio in ciò che avviene dopo, nasca la differenza tra religione e spiritualità.

Infatti, regolarmente, ogni volta che uno di questi insegnanti, divulgatori, mistici, moriva, era pronta una schiera di discepoli pronti a divulgare quegli insegnamenti che ritenevano aver portato il loro “maestro” a quel livello di trascendenza, e loro stessi a un buon livello di evoluzione interiore. Il problema è che tutto ciò che successivamente viene riferito, trascritto, tramandato, riguardo gli insegnamenti di questi grandi “maestri di spiritualità”, viene fatto da persone non progredite quanto loro. Una volta che il portatore di alcuni punti di vista profondi muore, inizia sempre una smania, un’ossessione, una vera e propria corsa a tramandare il più possibile. Un’arrembaggio a convertire tutti a quel particolare punto di vista. E se il “maestro” non si era espresso su un particolare argomento? Allora al via i ricordi travisati, o inventati, al via la libera interpretazione dei discepoli, o dei discepoli dei discepoli, che uniscono le forze per capire cosa il maestro avrebbe detto o consigliato in quel particolare caso, senza domandarsi il perchè non si fosse pronunciato in merito. Al via l’interpretazione centinaia, o migliaia, di anni dopo, di altri considerati saggi o esperti delle scritture, che a loro volta interpretano sacre scritture portatrici di informazioni probabilmente mal interpretate, travisate o inventate già alla fonte, già da chi le scrisse originariamente.

Ovviamente a tutto ciò, nella religione si aggiungono le successive strumentalizzazioni politiche, false dottrine introdotte deliberatamente per interesse personale o per manipolazione delle masse ma… volendo anche tralasciare questo, volendo anche restare sul piano delle buone intenzioni…

Chi insegna una religione col cuore, senza dubbio riesce a distillare attraverso i condizionamenti, i dogmi, i rituali, anche quella luce di verità che ancora brilla attraverso i secoli o i millenni di travisamenti. Ultimamente ho ri letto autobiografia di uno yogi, e un libro buddista di Ikeda, e niente, come le prime volte che li lessi, il mio sentire mi dice che sono ricchi di saggezza e verità profonde. Ma allo stesso tempo ho sentito come pesante, martellante a tratti, quell’aura di dogma, quella intrinseca credenza dello scrittore stesso, per la quale il suo particolare punto di vista, o quello dei suoi maestri, sia “il migliore possibile”.

In questi libri vengono esposti con grande lucidità e saggezza situazioni relative al mondo degli uomini, e spesso date soluzioni anche pratiche o spirituali di profonda utilità ed efficacia nel percorso di chi voglia veramente conoscere se stesso e la propria immensa natura interiore. Al di là della comprensione intellettuale, in molti passaggi di libri del genere si sente che “c’è un’energia”. C’è un passaggio di informazioni preziose, ed un messaggio profondo. Ma d’altro canto c’è sempre qualche passaggio in cui il condizionamento viene fuori, ed è come se alla fine di pagine e pagine di profonda saggezza, che ti fanno aprire il cuore solo leggendole, alla fine c’è una chiusura che lascia davvero l’amaro in bocca, quando senti dire che “l’unica vera soluzione, o la migliore,o la più efficace possibile, è utilizzare quel particolare mantra buddista, o il krya yoga insegnato da tale maestro del passato”. Forse una via possibile. Ma l’unica? La migliore? La più efficace? Un essere alieno proveniente da altri mondi, leggendo le sacre scritture e i libri riguardo lo spirito sparsi per le biblioteche del pianeta, si farebbe certo almeno un’idea precisa: alcuni umani sono dogmatici e pensano di avere ognuno la risposta migliore! Forse penserebbe: ma dopo che per migliaia di anni la storia si ripete e ognuno da una sua versione diversa, com’è possibile che ancora qualcuno creda che ce ne sia “una sola migliore” delle altre?Come fanno gli umani ogni volta a cascarci, e a non capire che se 100 persone sostengono di aver ragione, probabilmente la ragione piena non la ha nessuno di loro ma tutti hanno un tassello del mosaico della verità?

Eppure mi chiedo, questi maestri spirituali, anche dell’ultimo secolo, o i loro maestri a loro volta, avevano raggiunto un profondo livello di evoluzione. A volte mi sembra che il “sentire” e la saggezza raggiungibile da un’onesto ricercatore spirituale possa andare avanti, e avanti, e avanti quasi all’infinito (quasi…), su un certo binario di comprensione di sè e del sentire col cuore una serie di verità. Ma che allo stesso tempo, un essere umano possa al contempo restare, a livello mentale, agganciato a una certa credenza davvero molto a lungo. E’ come se si possano fare anche progressi enormi quindi con una via religiosa, enormi. Ma mi sorprendo di come comunque una parte della mente resti legata alle credenze stesse di quella religione.

Sembra logico che chi giunge a una certa vetta scalando una montagna, dall’alto si accorge che il suo obiettivo non era percorrere il sentiero, ma raggiungere la vetta. Ok, magari lungo il percorso aveva un pò sovraelevato l’importanza del sentiero, ma ci stava, perchè la vetta sembrava lontano ed il sentiero era ciò che vedeva, ciò a cui poteva aggrapparsi. Ma dall’alto, ci si rende conto che il sentiero battuto ha senso solo se c’è una vetta da raggiungere.

Mettiamo che alcuni maestri davvero illuminati, nel loro progresso di conoscenza interiore, ad un certo punto si rendano conto che in realtà alcuni dogmi e precetti delle religioni non siano poi così indispensabili.

Perchè continuano a consigliare di seguirli quando parlano con i loro “allievi”, che sia dal pulpito di un libro, di una conferenza o nell’ambito di una amichevole chiaccherata? Forse ritengono che le persone abbiano bisogno ancora di percorrere un sentiero fatto di regole, disciplina e binari ben definiti, per evitare di perdersi lungo strada. Ma anche questo del resto è un atteggiamento per cercare di “controllare, forzare, condizionare”, seppur con le migliori intenzioni, il prossimo. Eppure è evidente che sono davvero dei maestri illuminati sotto molti punti di vista. Qual’è il punto allora? Forse solo che la nostra identità è talmente complessa, e la nostra è un’esistenza contemporanea su più livelli di coscienza, tanto che un essere umano può progredire talmente tanto su un certo livello energetico, abbastanza da cambiare il mondo, da influenzare positivamente la vita e la spiritualità di così tante persone, ma allo stesso restare agganciato a una credenza radicata così profondamente che forse, chissà, riuscirà a scioglierla solo più avanti nel suo percorso, in un punto che va addirittura oltre la propria cosìddetta “illuminazione” di umano su questo pianeta.

Credo che ognuno possa, nel rispetto del proprio sentire interiore, distillare verità da ogni fonte, per poi trovare la propria spiritualità ogni giorno, arricchendola con altri punti di vista che siano in risonanza, lasciando sempre al centro l’espansione della propria coscienza e la liberazione dalle credenze limitanti.

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