Orizzonte degli eventi… ed altri orizzonti

Questa è la foto di un buco nero. Aspettavo di vedere questa foto da quando ho saputo che nel 2019 sarebbe stata pubblicata. Il bambino curioso ed entusiasta dentro di me sperava di vedere un’immagine suggestiva, mozzafiato, da film di fantascienza; una parte più razionale di me sapeva che fotografare un oggetto così lontano nello spazio non sarebbe stata un’impresa da poco, non certo un gioco per amanti degli effetti speciali. E quando ieri ho guardato la diretta TV in cui presentavano l’immagine dopo il lungo processo di elaborazione dei dati, una vocina ingenua dentro di me ha esclamato: “caspita, tutto qui?”.
Ed in effetti, alcuni moderni film di fantascienza hanno rappresentato senz’altro con maggiore impatto visivo questo sconvolgente quanto bizzarro fenomeno dello spazio. Ma penso che comunque questa immagine sia estremamente significativa. Per la scienza, come senza dubbio molti scrivono e dicono questi giorni. Ma non solo.
Io volevo fare una riflessione, come poteva intuirsi, tra scienza e coscienza.
Ma torniamo per un istante alla foto. Questa è la foto dei grandi numeri.
Tanto spazio quello per contenerla. Oltre 5 milioni i Gigabyte necessari per immagazzinare ed elaborare i dati necessari per processare la foto in questione.
Circa 6 miliardi di volte il nostro Sole, la massa di questo buco nero/mostro spazio-temporale.
Grande la distanza a cui si sono dovuti puntare i telescopi (addirittura 6, mi pare di aver letto) per ritrarla: ben 56 milioni di anni luce. Tale è la distanza alla quale si trova la galassia nella quale il buco nero risiede. Questo significa che ciò che vediamo nella foto, quel bagliore dato dalla materia che vortica intorno al buco nero prima di essere da lui stesso fagocitata, si verificava all’incirca quando qui sulla terra si aggiravano, o si erano di recente estinti, gli ultimi dinosauri.
Ma al di là dei numeri, penso che sia un buon simbolo di come l’umanità si stia espandendo. In molti sensi. La scienza, e gli uomini di scienza, hanno in fondo la stessa spinta di espansione verso la conoscenza, che possiamo trovare in altri uomini di fede, o meglio di “scienza interiore”, che ricercano l’espansione del Sè. Il fatto che l’essere umano sia stato in grado di raggiungere, sia anche solo visivamente per ora, un luogo così remoto dello spazio (e non scordiamolo, del tempo), ci fa riflettere su quali potranno essere i confini della scienza del domani, a livello proprio di espansione come esplorazione dell’universo così vasto intorno a noi.
Quindi senza dubbio una velocità dell’uomo è quella dell’espansione dal punto di vista fisico, nello spazio intorno, lontano e ancora più lontano, alla ricerca però di qualcosa che ha poco a che fare con gas incandescenti, stelle morenti e strabilianti esplosioni di corpi celesti. Questo è solo il pretesto, a mio avviso. Si perché in questa ricerca di conoscenza ed esplorazione nel “molto lontano”, o nel “molto piccolo”, se pensiamo alle ricerche della fisica delle particelle, si nasconde un’inquietudine, per fortuna a braccetto con una sana dose di entusiasmo un po’ fanciullesco per la scoperta. Un’inquietudine data dalle domande esistenziali, profonde, eterne che l’umanità si pone: da dove veniamo. Dove siamo diretti. Qual è la nostra vera essenza. Qual è la ragione della nostra esistenza. Esiste una fine dello spazio? Esiste una fine del tempo? Esiste un confine a tutta questa vastità che ci circonda?

La scienza va senza dubbio in una direzione lodevole. Ci da una bella propulsione verso l’esplorazione, verso il cambiamento. E senza volerlo, proprio la scienza così devota alle prove empiriche, al calcolo, al considerare solo ciò che è misurabile, ha imboccato un binario che va ricongiungendola con l’altra faccia della medaglia di quelle stesse domande, l’altra sponda del fiume dell’esistenza che ha sempre tenuto a distanza, almeno in via ufficiale, finora: la fede. O meglio. Quella che fino a tempi recenti, è stata solo fede. Quella che in realtà per molte culture non è mai stata solo fede, o che nulla aveva a che vedere con la fede in realtà: la scienza interiore. La scienza e quindi la conoscenza del mondo invisibile, del mondo altrettanto vasto che si trova dentro l’essere umano, e al di là delle dimensioni fisiche e della morte stessa; quel mondo impermeabile ai troppi calcoli, alle analisi statistiche, ma sensibile alla conoscenza e allo studio di sé, tanto da comportare comunque sue regole, sue strutture, e dimensioni.
Ma perché dico che questo divario tra queste due velocità di espansione della conoscenza si va assottigliando, e le strade percorse separatamente da queste due sorelle, scienza e “fede”, vanno ricongiungendosi proprio per merito della sorella razionale, analitica, scettica, ma anche paziente, curiosa, disciplinata?
Perché proprio quando rinunciamo a trovare qualcosa che ci sfugge, questa bussa alla nostra porta quando meno ce lo aspettiamo. Proprio quando l’uomo di scienza, pur tenendo le sue preziose e profonde domande esistenziali nel cuore, rinuncia alla ricerca del divino, dell’essenza della vita, del significato profondo dell’esistenza, ecco quel divino, quel mistero, quell’ignoto bussare con gentilezza alla sua porta.
Un bussare alla porta che si chiama materia oscura, probabilmente. Un bussare alla porta che si chiama bizzarrie quantistiche, magari. Un bussare alla porta che si chiama implicazioni della teoria della relatività.

Nella ricerca di cosa ci sia oltre nel mondo fisico, andando lontano nello spazio con i suoi calcoli e coi suoi telescopi, l’uomo di scienza si accorge che esiste una regione dello spazio, per l’appunto il buco nero, dove quella certezza così fondamentale anche per i metodi di ricerca scientifica, e cioè lo scorrere del tempo, non è poi una realtà così prevedibile. Alle soglie di un buco nero il tempo scorre diversamente, più lento. E, si ipotizza, il tempo potrebbe non esistere nemmeno, dentro un buco nero. Ma se esiste un oggetto fisico, che finalmente siamo stati in grado di vedere, dove la nostra percezione della realtà, il mondo così come lo conosciamo, appare tanto diverso in una sua componente così cruciale, così strutturale, come il tempo, allora perché anche tutto ciò che va al di là dello spazio e del tempo ipotizzato dalle tante scuole spirituali del pianeta, non può coesistere con la realtà all’apparenza definita e scientificamente dimostrabile nella quale siamo immersi ogni giorno?
Se possiamo pensare ad un tempo che va più lentamente in luoghi diversi dello spazio, se possiamo immaginare che la materia estremamente condensata curvi lo spazio e distorca il tempo fino a non permettere alla luce di passare, allora forse immaginare un’altra realtà dello spazio e del tempo in cui viviamo, come coscienza, contemporaneamente al qui e ora, non ci appare più così fuori dalla realtà. Se calcoliamo che in una certa regione limitata del cosmo il tempo semplicemente non scorre, allora perché non possiamo prendere in considerazione l’ipotesi che noi stessi stiamo vivendo contemporaneamente in più “tempi” differenti contemporaneamente? Più vite simultanee in momenti temporali differenti? Separati dal tempo ma collegati da qualche altra cosa. Forse da materia o energia oscura. Forse da una matrix cosmica, che alcuni chiamano la matrix divina.

Forse nessuna scienza potrà mai definirlo, ma la scienza non sarà mai nemmeno in grado di ottenere informazioni dal di dentro di un buco nero, che per sua stessa definizione risucchierebbe con insaziabile voracità, nello spazio e nel tempo, chiunque o qualunque cosa cercasse di allontanarvisi per raccontarlo.
Le scoperte del ramo diametralmente opposto della scienza, la fisica dell’infinitamente piccolo, sono altrettanto sconcertanti, ci suggeriscono di quanto la struttura stessa della realtà, e degli eventi, sia riconducibile in verità alla coscienza stessa. La presenza dell’osservatore che cambia il comportamento delle singole particelle. E quindi degli eventi. La matrice stessa della realtà che ci appare intorno, condizionata da quell’impercettibile e sfuggente scintilla di coscienza che alberga nell’essere umano.

Ma questa è un’altra storia.

La mia riflessione si conclude qui. Che sia l’infinitamente grande, o l’infinitamente piccolo, l’indagine della scienza sconvolge le sue stesse regole, crea caos dal suo stesso ordine, incoerenza dall’indagine ben strutturata.

Crea domande laddove cercava risposte.

E tutto sommato va bene così.

Quando l’aspetto razionale dell’uomo si imbatte in un labirinto mentale alla fine del tunnel, forse il suo aspetto divino, che per sua natura include la realtà fisica, e le regole della materia stessa, inizia a brillare, e a venire in suo aiuto. E quando scienza e coscienza si fondono, si crea espansione.

E perché no, un po’ di magia (ma in senso scientifico, eh!).

Questa mi auspico sia la frontiera della conoscenza verso cui siamo diretti per il nostro futuro. Ammesso che il tempo, e quindi il futuro stesso, esistano; e ammesso che esistano come ce li immaginiamo.

E come possiamo imparare dal nostro amico cupo, vorace e maestoso, non è per nulla scontato.

(Non ho resistito, la ricostruzione in computer grafica del film Interstellar rende visivamente troppo di più, anche se ha meno implicazioni filosofiche!)

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