La lentezza e il contatto con le proprie emozioni

La lentezza è curativa. Trovare dei ritmi di vita che permettano la lentezza, che ci diano spazio per sentire le nostre emozioni e osservare pian piano le esperienze che facciamo, credo sia la base per l’equilibrio emotivo. Ok non è sufficiente solo questo, ma per molti questo è proprio ciò che manca per una vita in cui sia presente, se non proprio la felicità, almeno la gioia (che non è certo da poco).

Molti danno la “colpa” di un mancato contatto con le proprie emozioni, col proprio mondo interiore e con la propria spiritualità più autentica, all’organizzazione e alla frenesia della società occidentale in cui viviamo. Credo che però non sia utile proiettare fuori di noi responsabilità che sono in realtà esclusivamente della persona. Laddove ci fosse anche una pressione esterna molto forte da parte dei nostri simili, un pesante condizionamento a correre, fare, strafare, immagazzinare oggetti di consumo e produrre, con conseguenti pochi momenti per “sentire chi siamo”, bhe direi che lo abbiamo scelto noi, come sfida spirituale di questi tempi, come contesto di nascita: a livello animico lo abbiamo scelto. Quindi scagliarsi contro la società moderna mi da l’impressione di una mossa che de-responsabilizza la persona dalla cura della propria dimensione interiore. Certo i condizionamenti sono senza dubbio forti; ma se la sfida è imparare a creare la realtà, attrarre condizioni favorevoli, tranquille, adatte al nostro sviluppo interiore, adatte alla lentezza e al contatto con le emozioni e i sentimenti più profondi, allora i condizionamenti e le pressioni in senso opposto da parte della società moderna possono essere visti come un ulteriore aspetto sfidante del ben più ampio campo da gioco chiamato universo fisico, in cui giochiamo a divenire i creatori e i co-creatori consapevoli della realtà, tramite la scoperta della propria divinità interiore.

Possiamo attrarre insomma, mediante la nostra proiezione e il potere del nostro intento, anche condizioni favorevoli di lentezza e ritmi più adatti ad un essere umano equilibrato. Non è necessario ritirarsi a vivere nei boschi, rifiutare la società, odiare il capitalismo o provare disgusto per il denaro. Sono aspetti del mondo che abbiamo contribuito a pianificare attentamente, sono dei meccanismi che la collettività delle anime che hanno ideato la Terra avevano previsto e anzi predisposto affinchè il livello di sfida fosse appropriato a questi tempi di cambiamento. Così come scegliamo i nostri genitori prima di nascere affinchè le sfide delle nostre prime lezioni sull’Amore siano adeguate, così a livello collettivo abbiamo scelto questa società coi suoi pregi e con le sue sfide intrinseche. Questo non significa che debbano piacerci i suoi lati oscuri e le sue immense contraddizioni, il suo lato disumano e robotico. Ma come nel percorso interiore accettiamo i nostri lati oscuri, e accettiamo i lati oscuri delle persone che amiamo, per integrarli e proseguire verso la nostra evoluzione, credo che possiamo fare lo stesso con la civiltà occidentale moderna.

Lo spazio per riflettere, rilassarci, meditare, vivere appieno le nostre emozioni forti, sia quelle belle che quelle dolorose, è vitale per il nostro benessere in primis, e soprattutto per la nostra evoluzione interiore, e includo anche la nostra migliorata capacità di creare la realtà a partire dal nostro intento. Lo spazio interiore è quella zona di tempo e di spazio dove possiamo fermarci a ricercare chi siamo, e quindi in primis “cosa proviamo”. Questo maggiore tempo a disposizione, che in modo consapevole dedichiamo al contatto con noi stessi, crea uno spazio sacro interiore nel quale osservare i venti delle nostre emozioni, le tempeste emotive e le leggere brezze della gioia e della contentezza, e l’auto osservazione porta all’accettazione di sé. Il tempo per elaborare ciò che proviamo serve per vivere appieno l’esperienza. Passare da un’esperienza all’altra senza avere il tempo per comprendere sul piano emotivo cosa è successo, ci porta ad ammassare moltissime informazioni nel nostro subconscio, senza assaporare le esperienze belle, senza metabolizzare il dolore, accumulando oggetti esperienziali, come un collezionista d’arte che riponi dei meravigliosi quadri in cantina, perché usa il suo tempo solo per andare alle aste a comperare nuovi quadri, e non si lascia tempo a disposizione per ammirarli e sentire quali emozioni hanno da trasmettergli.

La responsabilità di fare questo però è solo nostra. Spesso rimbalziamo da una parte all’altra come biglie impazzite perché tutto sommato i ritmi della società moderna ci vanno pure bene, ce ne lamentiamo ma alla fine la frenesia, per quanto stancante fisicamente, a volte è comoda: ci esenta da un lavoro ben più impegnativo di quello fisico o intellettuale, che è l’auto-osservazione del nostro mondo interiore, delle nostre emozioni autentiche. Abbiamo sempre il potere di rifiutarci di lavorare di più, di rifiutarci di togliere tempo a noi stessi per portare i figli da una parte all’altra (stressando pure loro con mille attività, alla fine), di rifiutarci di occupare anche quelle due ore libere che abbiamo per noi stessi, con attività che compiacciano altri. Così come possiamo avere la forza e il potere di non usare tutto il nostro tempo libero per stordirci con svaghi chiassosi o tossici, che a tutto portano tranne che al contatto con sé stessi.

Meditare aiuta. Ma poi diamoci anche tempo… vuoto. Forse è meglio meditare 11 minuti al giorno ma poi avere tempo libero per qualcosa che ci piace e per stare in semplice ascolto di noi stessi, più che meditare due ore ma poi avere una vita che ci porta a correre e rimbalzare da un’esperienza all’altra. A cosa ci serve lavorare 12 ore al giorno, dormire, mangiare di corsa, svolgere le commissioni quotidiane a velocità supersonica, poi meditare un’ora, andare a lezione di yoga, e ricominciare da capo senza sosta il giorno dopo? A cosa ci serve fare un seminario di approfondimento sulle emozioni, o sulla spiritualità, che dura un weekend intero, se poi il giorno dopo ci ributtiamo senza tregua in mille esperienze che non ci danno spazio per sentire ciò che dentro di noi quella esperienza effettivamente ci ha portato? Meditare, fare yoga, aiuta tantissimo, ma solo se invece di essere un impegno in più sommato a tutti gli altri, ci porta invece a “fare di meno”. Meno esperienze, ma vissute ed elaborate appieno, assaporate e metabolizzate. Poi ognuno ha il suo modo, il tempo libero necessario per ognuno è diverso, ma certo è che se ci lamentiamo di non avere tempo, solo noi abbiamo la responsabilità di cambiare questa condizione. E solo noi ne abbiamo il potere, anche solo ponendo l’intenzione: “desidero avere più tempo per comprendere meglio me stesso”. Le occasioni e le sincronicità arriveranno quando saremo davvero intenzionati ad usare il tempo libero per comprendere noi stessi. L’universo ci chiede questo, un viaggio interiore; l’anima ci chiede questo. Se decidiamo di avere più tempo per stare con le nostre emozioni, l’universo ci manderà tempo; sarà più facile, anche se la responsabilità di scegliere quali attività togliere, quali ambienti non frequentare più, quali sacrifici non essere più disposti a fare, sarà solo nostra. Perché contemplare il panorama del viaggio, il nostro panorama interiore, può riservarci proprio quella gioia e quella serenità che ricerchiamo nella meta.

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