Diario di viaggio: sulle orme di San Francesco

(le foto sono state scattate dall’autore nel corso del viaggio ad Assisi)

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Assisi si è presentata ghiacciata. Quasi a ricordare l’austerità e la povertà, molto gioiosa, alla quale sono votati i francescani. Era capodanno, e venendo dalla Sardegna il mio termometro naturale segnalava temperature ben più rigide di quanto potesse percepire uno dei devoti frati muniti di sandali, abituati a tale clima e, sebbene con maggiori concessioni rispetto al ‘200, ad uno stile di vita spartano. Due ragazzi sardi cattolici mi vennero a prendere gentilmente alla stazione, poche parole infreddolite, accomunati dalla sorpresa per un clima così diverso da quello nostrano, e forse dalla comune ricerca spirituale sulle orme di san Francesco.

All’apparenza avevo poco in comune coi miei numerosi compagni di viaggio. Molti cattolici, poi qualcuno alla ricerca di se stesso e di risposte, qualcun altro alla ricerca di un esperienza di contatto con qualcosa di trascendente, alla ricerca di Dio. Come spesso succede per le esperienze cariche di un profondo sentire spirituale, che si andranno ad imprimere in modo indelebile nei ricordi, quel viaggio accadde un po per caso. Da alcuni mesi frequentavo degli incontri settimanali di frati francescani, non perché interessato a ri abbracciare il cattolicesimo, ma perché cercavo un contesto in cui poter avere almeno un confronto non superficiale sul piano spirituale, sul piano dell’anima. E in molte occasioni lo trovai, effettivamente.

A capodanno era previsto un viaggio organizzato nella terra del loro maestro, San Francesco d’Assisi, sicuramente un grande maestro del passato che raggiunse un livello di ascensione tale da incarnare la cosiddetta (non dai cattolici ma da altre scuole di pensiero spirituali) coscienza cristica. Si intende con questo, la massima manifestazione come essere umano, del proprio aspetto interiore divino, insomma quello che teoricamente sarebbe il massimo livello di evoluzione spirituale raggiungibile dall’anima in un corpo umano in una vita di incarnazione umana. Cristo lo raggiunse, così Buddha, gli Yogi del passato, molti santi celebri e, mi sembra molto probabile, altri esseri umani di cui non si è mai sentito parlare. In questo caso mi riferisco appunto a San Francesco d’Assisi. E così la sincronicità degli eventi mi portò alla solita inconsistenza dei programmi di svago organizzati per l’ultimo dell’anno, per cui una volta verificato che qualcuno aveva rinunciato al viaggio ad Assisi (io ero indeciso se partire) e c’era un posto letto per me, prenotai. Ora posso dire che, per quanto con tutti i limiti e i dogmi di una religione, in quel gruppo, con quelle guide francescane, riuscii a ri-avere una autentica esperienza di contatto, di percezione e di connessione con frequenze davvero elevate. Non fu la prima, ne l’ultima, naturalmente. Unica nel suo genere, sì. Come sempre, ogni esperienza è a sé, e la presenza fisica in luoghi così carichi di energia, contribuì a rendere possibile per me una esperienza profonda in un contesto religioso con cui apparentemente avevo poco a che fare.

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Fu un viaggio che trascorse fra momenti di ricercata solitudine e momenti di condivisione. Oltre alle solite sfide relazionali e umane che sempre si incontrano, non a caso, quando facciamo un’esperienza forte nell’ambito di un gruppo (intendo belle sfide di condivisione e di piacevole confronto), ad Assisi e anche in un’altra esperienza di gruppo sempre coi francescani, trovai davvero il famoso “momento di silenzio interiore”. Il secondo giorno del mio viaggio, un frate francescano, che per il mio sentire veramente era in contatto con frequenze di luce, e che ricordo con grande affetto, mi suggerì di visitare l’eremo delle carceri, sperduto convento sulle montagne dove San Francesco si ritirava ed ebbe varie esperienze mistiche. Non ricordo bene la storia, non credo sia così importante. Ma salendo su quella montagna innevata in una giornata di sole, da solo, in contemplazione della natura, iniziai a entrare in contatto con l’energia della terra. Fu un’esperienza di forte connessione con la natura, quella neve mischiata alla terra e agli alberi aveva un fascino: natura incontaminata, un flusso di energia costante come solo lei sa donare con quelle qualità. Sulla cima c’era il silenzio. Il suggestivo monastero si affacciava sulla sconfinata vallata sotto la città vecchia di Assisi, immerso in un bosco centenario. Le piccole stanzette dei frati facevano contrasto con la vastità della natura intorno. Un contrasto evidente anche nel viaggio di ricerca interiore: entrare in quello spazio intimo e interiore dentro di sé, uno spazio che all’inizio appare stretto a causa della mole dei pensieri, delle emozioni contrastanti, dei condizionamenti e delle paure, per poi andare gradualmente verso la porticina tenuta socchiusa dall’anima, che si apre sull’infinità del cosmo e l’immensità del nostro divino interiore.

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Erano alture di contemplazione. Il luogo racchiudeva quella pace e serenità co- creata insieme all’anima del santo che ebbe, lassù, veramente una illuminazione. Sia i frati che dimoravano lassù e che gentilmente accoglievano i turisti e i pellegrini, sia alcuni degli altri frati che ho conosciuto, erano circondati da un’aura di pace, di gioia e fondamentalmente… erano connessi. Alcuni di loro erano davvero dei canali per frequenze molto elevate. Anche osservando la loro vita spartana, le loro stanzette del monastero arroccato sulla montagna, ho percepito come la loro via, in un modo che alla fine non ha nemmeno troppo senso provare a razionalizzare, sia ancora un sentiero di elevazione della coscienza. La ripetizione delle faccende quotidiane, la disciplina ferrea che crea abitudini comunque sane, il costante focus mentale e del cuore verso ciò che c’è dall’altra parte del velo (per alcuni, anche li non tutti ci riescono a essere così focalizzati), questa profonda immersione nella loro religione. Questo antico sentiero monastico, in qualche modo li portava anche a risultati pratici di saggezza, gioia, parole e comportamenti carichi di quell’energia e quella pace mentale che tanti invece trovano con i percorsi psicologici, interiori e spirituali- non religiosi, come lo yoga, la meditazione, e altri.

1912303_1571793073038316_3342374980513282281_nNon sono certo il primo che si è accorto di questo, ma mi fa piacere raccontare in questo il mio sentire, perché il mio percorso mi ha portato a farne esperienza. Mi viene da pensare anche a Yogananda, che tra l’altro fondò un ashram proprio nei pressi di Assisi. Lui parlava solo di ricercare Dio. Diceva che se ci focalizziamo costantemente sull’idea di Dio, di una fonte creatrice insomma (anche se lui parla proprio di Dio, come spesso avviene nello yoga e nell’induismo), possiamo entrarci in contatto e farne esperienza. Evidentemente, almeno un contributo alla personale e libera ricerca di ognuno, anche i frati francescani potevano darlo. Nei loro incontri e seminari, si poteva percepire come fluisse energia, tanto che quando ne uscivo, a volte, mi sentivo ricaricato come se avessi fatto una classe di yoga, e spesso come con lo yoga mi è anche passato il mal di testa e ho trovato quiete dai soliti pensieri martellanti sui problemi della vita. E vedevo che anche molti altri giovani ne traevano un vero spunto di riflessione e di auto osservazione. Non succedeva sempre, non sto dicendo che partecipare ai loro incontri potesse essere un percorso di ricerca interiore a lungo termine, almeno per me, ma per un periodo è stato appropriato, accompagnato da altri lavori su me stesso e con l’energia. Era come se, commentando la bibbia e parlando anche di sfaccettature psicologiche spesso argute e sottili, nonché con la loro gioia di vivere e allegria, riuscissero in qualche modo a modificare il campo magnetico di chi gli stava vicino e ascoltava, proprio come accade per tanti altri seminari, lavori e pratiche interiori e spirituali che “dichiaratamente” lavorano con l’energia e con tecniche ben sperimentate per il campo magnetico.

Un’altra breve esperienza, questa la più intensa, accadde ad un seminario di alcuni giorni a Cagliari. Fu raccontata la testimonianza di una donna malata di un tumore terminale, con un marito e una figlia, il cui padre spirituale era un frate (li presente, era il relatore principale del seminario). La giovane donna rifiutò le cure mediche per non nuocere a un altro figlio che teneva in grembo e poterlo dare alla luce, e alla fine, la donna morì. Ma nel racconto di come si fosse creato un legame e un rapporto tra lei e il suo padre spirituale francescano, e di come i due insieme avessero affrontato la malattia terminale di lei (lui come “terapeuta” dell’anima, e lei come assistita), traspariva una luce e una vittoria sulla paura veramente autentica. Quando fu letta la lettera di questa donna, in cui con parole veramente semplici e di cuore raccontava come si avvicinasse alla morte con consapevolezza e serenità, fui veramente toccato e d’un tratto potei sentire nel cuore come in quell’esperienza di prossimità alla fine della vita fisica, trasparisse solo Amore incondizionato, e nessuna paura. Lo sentii davvero come autentica. Preferii infatti uscire dalla sala, per esprimere in raccoglimento la mia commozione.

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Naturalmente i frati, dal loro punto di vista, argomentarono come una tale vittoria sulla paura sia possibile solo “incontrando” Gesù. Cioè la spiegazione successiva razionale-religiosa fu quella: che solo una fede in quel maestro, che loro considerano l’unica possibile manifestazione di Dio, può “salvare”. Potrei dilungarmi su come in seguito vidi anche molta residua chiusura mentale e prigionia di dogmi religiosi, negli insegnamenti di queste persone e nella loro influenza sui giovani. Oltre un certo punto, mi resi conto che comunque il dogma salta fuori, l’obbligo e la necessità di un inquadramento religioso venivano a galla. Per il mio personale sentire (non solo il mio), ciò che non funziona è conferire a qualcun altro, a una Chiesa, a un prete, a un gruppo chiuso, a un singolo maestro, la propria responsabilità verso se stessi.

Ma. Ma l’assenza di paura di quella donna che traspariva da quello scritto, era autentica. Quindi in qualche modo lei in primis, e anche il frate suo padre spirituale, avevano trovato una chiave autentica di elevazione dell’anima e anche della mente, oltre il muro e la prigione della credenza che con la morte, tutto abbia fine. E dico loro due insieme, perché anche dalle parole del frate, nella sua testimonianza, traspariva una sua personale vittoria sulla paura della morte. Non esiste l’esclusiva in questo, per fortuna ci sono molti casi di persone comuni che hanno superato la paura della morte fisica, anzi forse di questi tempi sono sempre di più. In quel caso, tramite un percorso di vita tutto personale, mescolato con l’energia e l’apertura del cuore degli insegnamenti di San Francesco e indirettamente qualcosa del Cristo, seppur all’interno dei dogmi di una religione organizzata, loro ci sono riusciti. Loro due, per mezzo di antichi insegnamenti e di un personale percorso di vita: un bell’esempio di co-creazione fra anime. E in seguito i frati hanno creato un seminario in cui raccontarlo con gioia e autenticità, e toccare i cuori. Non solo il mio. Ne conserverò per sempre un ricordo colmo di gratitudine.

E senza farne uno stile di vita, credo che esperienze del genere siano una meravigliosa manifestazione di come in questi tempi di cambiamento, se si rivolge l’attenzione a dentro noi stessi, tutto è possibile, qualsiasi via che apra il nostro cuore può contribuire a portarci in contatto con la nostra anima, con la nostra coscienza in viaggio… verso casa.

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