Coco: un viaggio di guarigione

Consiglio di leggere questo articolo a chi ha già visto il film, o a chi non teme spoiler e voglia trovare una ragione più profonda per guardare un film solo all’apparenza per bambini.

Penso che con Coco, anche il cinema in computer grafica Disney entri ufficialmente a far parte di quella sempre più folta schiera di realizzatori (ispirati) di film ispiranti, portatori di un messaggio spirituale e di guarigione personale, una guarigione profonda di sé stessi e di riflesso della propria realtà circostante. Un film che amalgama l’arte visiva e quella della comicità insieme ad una saggezza più profonda, ad una spiritualità percepibile, e quindi commovente, anche dagli spettatori più digiuni rispetto a certe tematiche, e lampante e incisiva per chi ha una maggior confidenza col concetto che attraverso un percorso interiore e multidimensionale (quale di fatto è il viaggio del piccolo protagonista del film), si possa veramente guarire sé stessi e di riflesso vedere un cambiamento nelle persone intorno a noi, e più in generale cambiare la realtà della nostra vita. Una cosa accomuna tutti però: una lacrimuccia alla fine di questo cartone, più per grandi che per piccini, vi sfido a non versarla.

La partenza della nostra storia già regala un’idea delle tematiche psicologiche che ci terranno compagnia per la durata del racconto: legami familiari e realizzazione delle proprie passioni. Condizionamenti profondi ed espressione di sé. Il piccolo Miguel da subito fatica anche solo a mostrare la sua incontenibile passione per la musica, per la quale possiede invece un grande talento, proprio a causa dell’apparentemente inspiegabile ostilità della propria famiglia nei confronti di chiunque pensi anche solo di imbracciare una chitarra. Un tema senza dubbio comune a molti, la necessità di affermare la propria identità e l’espressione di chi si è veramente, nonostante una opposizione della propria famiglia, in questo caso incarnata da una molto “aggressiva” quanto protettiva e tenera matriarca: la nonna del piccolo. Da subito si percepisce che dietro l’affetto, l’unione e l’atmosfera cordiale che regna in casa della famiglia del piccolo protagonista, si cela un demone di cui nessuno parla apertamente, un trauma profondo che con effetto domino ha plasmato la vita di nonna, zii, cuginetti, genitori e minaccia anche la personale realizzazione del piccolo Miguel. Tutti lavorano nella fabbrica di scarpe di famiglia, e sembra che nessuno si sia mai posto il problema che l’espressione di sé potesse passare anche per altre vie.

A volte per predisposizione, a volte dopo lunghi lavori su sè stessi, certamente alcuni riescono a risolvere una simile sfida di vita, al giorno d’oggi. Alcuni si devono allontanare dal proprio nucleo familiare per trovare lo slancio per realizzare sè stessi, altri ci provano con scarso successo, non magari per una colpa o per scarsa applicazione, ma perché a volte qualcosa blocca, a livello profondo, quel tipo di energia creativa che promuove e facilita l’espressione di chi si è e di ciò in cui ci si vorrebbe realizzare.

La grande novità di Coco, è come il protagonista riesca, tra l’altro a dispetto della sua giovane età, alla fine del film a vedere cambiata “veramente” la propria realtà, e ci riesca di fatto grazie al lavoro profondo e incisivo fatto durante il suo viaggio spirituale nel regno dei morti. Gran parte del film si svolge infatti nell’aldilà come dipinto dalla tradizione spirituale messicana, ma in realtà questo viaggio può essere inteso come sogno, visione, esperienza interiore, e gli autori stessi lasciano il dubbio in merito al fatto che sia davvero avvenuto: Miguel infatti verso la fine del film, semplicemente si risveglia nello stesso luogo dove la notte prima aveva iniziato il suo viaggio.

Ma cosa sta facendo in realtà il piccolo Miguel nel passare da una stazione di transito per anime che tornano a trovare le famiglie nel regno dei vivi, alle vie di una variopinta città dell’oltretomba, fino ad un grande palco da concerto per scheletrini in festa?

Senza saperlo, sta intraprendendo un viaggio che lo porterà a sciogliere proprio quel nodo “karmico”, il trauma familiare che attanaglia sè stesso e i propri cari in una morsa di affettuosa frustrazione e protettiva censura di passioni e talenti.

Cos’è che la sua amorevole nonna e quindi la sua intera famiglia temono così tanto rispetto alla musica? Quale tabù emotivo si cela dietro a tutta questa compulsiva e rassicurante produzione di scarpe?

Il viaggio nell’aldilà parte, o si manifesta, proprio dopo che il bambino aveva mosso “molta energia” e aveva manifestato una autentica intenzione profonda di realizzare sé stesso e i propri desideri, uscendo allo scoperto riguardo le sue passioni, ribellandosi al volere tirannico di sua nonna, e combinando un vero pandemonio, provando a partecipare ad un festival, tentando di impossessarsi di una chitarra famosa, profanando addirittura una tomba, insomma: ha finalmente ben messo in chiaro con sé stesso e con il mondo esterno che il suo desiderio di realizzazione è radicato ed autentico. Ha quindi espresso, senza esserne ancora conscio, un profondo intento di “risoluzione” di qualsiasi cosa blocchi la manifestazione di ciò che realmente desidera.

Miguel scoprirà una scheletrica trisnonna ancora più controllante e feroce (per quanto possibile) della sua nonnina ancora in carne ed ossa, ma che in realtà è solo profondamente sofferente a causa di un’apparentemente inguaribile ferita di abbandono da parte di suo marito, ferita che ancora si porta dietro oltre la sua vita fisica, per l’appunto nel regno dei morti, insieme ad una implacabile rabbia. E alla fine saranno proprio le roccambolesche peripezie del piccolo pronipote, che la porteranno faccia a faccia col grande tema irrisolto, suo, e della sua famiglia.

E portando chiarimento, smascherando il vero epilogo della vita del povero trisnonno assassinato proprio a causa della validità del proprio talento artistico, proprio quando era in procinto di tornare a casa dalla sua amata moglie e dalla piccola Coco, Miguel porta a compimento una riappacificazione mancata, annulla una distanza causata da questioni familiari irrisolte, che necessitavano dell’intervento di un coraggioso discendente per vedere un lieto epilogo e dare un senso a delle vite, e a delle morti, per le quali era rimasto tanto rimpianto. E tornando a casa, al suo mondo, dopo aver risolto la questione più importante della sua giovane vita in un’altra dimensione, o in sogno, ma poco importa, pur sempre dentro sé stesso e a tu per tu coi propri demoni e con le proprie sfide di vita, Miguel nel giro di poco tempo di fatto vede cambiare la propria vita: vede incoraggiato il proprio talento. Si perché lui è solo un bambino, e l’unico modo per vedere cambiata la propria realtà di aspirante musicista, era che la sua famiglia lo appoggiasse. Per un bambino è così, la questione può apparire semplificata, ma va comunque dritta al punto.

Il suo viaggio è il simbolo di come ogni questione veramente importante, profonda, anche all’apparenza fuori dal nostro controllo (come per un bambino è avere genitori che si rifiutano di fargli studiare la musica), può essere risolta con un viaggio interiore, con un lavoro oltre questa dimensione, con una visione più ampia, che ricomprenda dimensioni spirituali dell’esistenza.

Un moderno Miguel dei nostri giorni e inserito nella nostra società, forse ha fatto un lavoro di terapia, forse un lavoro energetico, forse un lavoro di contatto e risoluzione che ha a che vedere con i traumi che ci portiamo dietro dai nostri antenati, o che hanno a che vedere coi nostri genitori e la famiglia, o con vite precedenti, o forse tutto questo insieme. Poco importa la questione in sè. Ciò che importa è che attraverso la comunicazione con parti di noi stessi celate, o con identità scomparse dal mondo fisico ma che si portano dietro dei legami anche con noi, possiamo risolvere questioni cruciali della nostra vita. Attraverso un viaggio e un percorso oltre le dimensioni.

Alla fine sono proprio le lacrime della nonna di Miguel, vedendo l’anziana Coco affetta da demenza forse in parte per la non accettazione dell’abbandono del padre e della iper protettività di sua madre, che canta e torna a sorridere, che cominciando a scorrere, sciolgono quella paura data da un evento del passato remoto della famiglia che profetizzava “se fai ciò che ami e ti realizzi, vivrai sofferenza e causerai dolore e abbandono”.

In tutto questo fa riflettere proprio la concezione di aldilà nel quale tutti questi temi sono stati inseriti, la concezione messicana secondo cui “bisogna” ricordare i morti con una fotografia, per mantenerli “in vita nel regno dei morti”. Azzeccata, a proposito di lavorare sul lasciar andare i legami e chi non c’è più. Se da un lato propone per lo meno una possibilità di contatto con l’altra parte del velo, d’altro canto si tratta di una concezione basata su una paura della morte e dell’abbandono tale, da conferire nelle mani dei vivi una responsabilità che va oltre la vita fino all’aldilà, responsabilità nei confronti dei defunti nonni, bisnonni, antenati e via discorrendo. E azzeccato come gli autori abbiano voluto mostrare come la “morte di chi è già morto”, venga a sua volta vissuta come un grande mistero. Perché quando quel personaggio scompare in una luce che lo fa come evaporare, sembra quasi in pace. In pace perché, a causa di una mancanza dei vivi, che non gli mettono più la foto poiché nessuno più lo ricorda, o grazie a un suo lavoro profondo di accettazione della morte stessa, e di sé, fatto in quella “dimensione di passaggio”, ricca di scheletrini colorati e condizionamenti radicati, quell’anima può davvero andare oltre, integrata del tutto la sua precedente esistenza terrena. Sciolti del tutto i legami.

Insomma, incapacità di lasciar andare i nostri cari che hanno abbandonato il proprio veicolo fisico, porre la realizzazione di sé in secondo piano a causa dei condizionamenti familiari, vivere agganciati a traumi di un passato remoto nostro o comunque legato a noi, che condiziona fortemente la nostra realtà.

In Coco, l’avventura del piccolo Miguel, il suo coraggio di voler veramente affermare chi si sente di essere, la sua voglia di prendersi l’unica responsabilità che ci è veramente dovuta, e cioè quella di sé stessi, vanno al di là di tutto questo. E lo portano, e ci portano, verso la consapevolezza più profonda, che per realizzare i nostri desideri, per ottenere una vita che per noi sia di successo, la strada maestra è quella di tuffarci nelle profondità di noi stessi e risolvere in una dimensione più elevata, qualsiasi blocco si verifichi nella nostra realtà fisica.

In un viaggio di guarigione, per noi stessi, e di riflesso per i nostri cari.

 

 

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